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A cura di Davide Allegri, Consulente scientifico NHS-Torino
È ormai appurato che il muscolo sia da considerarsi un vero e proprio organo in quanto, durante la sua attivazione, rilascia una serie di sostanze in grado di comunicare con gli altri organi (1,2).
Parliamo delle miochine, proteine con proprietà antinfiammatorie secrete dall’apparato muscolo-scheletrico e che possiedono proprietà endocrine, esocrine e paracrine. Tra le più rilevanti troviamo le interleuchine (IL 6, IL-1ra e IL-10). Le miochine non si limitano agli effetti diretti sull’infiammazione ma influenzano la fisiologia di numerosi sistemi corporei: insulino-resistenza e ossidazione del grasso viscerale (Irisina, IL-15), miglioramento della funzione endoteliale e vascolarizzazione del tessuto osseo (Insulin-like Growth Factor - 1, Fibroblast Growth Factor 2), ipertrofia muscolare (IL-4, IL-6, IL-7, Il-15 e Leukemia Inhibitory Factor (vedi figura 1) (1).

Mod. da fig.1 ref. 1 Benatti 2014 - Figura. 1 Sintesi schematica del circolo vizioso infiammatorio nelle patologie reumatiche e osteoartrosi.
Così come l’attività fisica presenta effetti diretti e indiretti sull’infiammazione cronica, anche la terapia enzimatica può essere sfruttata per contrastarla, tanto direttamente, quanto indirettamente (3-5).
La terapia enzimatica sfrutta il le capacità antifiammatorie, antiedemigene e antiossidanti degli enzimi proteolitici (ad es. bromelina e tripsina) e dei flavonoidi, come quercetina e rutina.
Evidenze scientifiche indicano come l’utilizzo sinergico di bromelina, tripsina e rutina possa dimostrarsi un alleato del clinico nel trattamento dell’osteoartrosi del ginocchio (6) e dell’anca (7).
La terapia enzimatica è anche in grado di aumentare l’efficacia dell’esercizio fisico con un miglioramento dei biomarker infiammatori, metabolici e immunitari prelevati nel post esercizio (8).
Una riduzione dello stato infiammatorio post esercizio a medio/alta intensità si traduce in un miglioramento del recupero e quindi in un’ottimizzazione dell’attività fisica, praticata sia con fini agonistici sia preventivi/terapeutici (9, 10).
A cura del Dott. Emanuele Pavesio, Dietista
L’obesità è un fattore di rischio per l’osteoartrosi e non solo per l’aumento del carico sulle articolazioni11, gioca, infatti, un ruolo importante nel peggioramento dello stato infiammatorio. L’aumento della massa grassa promuove l’infiammazione cronica di basso grado, attraverso una maggiore secrezione di:
- adipochine, tra cui adiponectina e leptina, che sono mediatori infiammatori a livello della cartilagine
- citochine pro-infiammatorie, in particolare TNF-α ed IL-1 (12).
Vi è inoltre un’associazione tra l’aumento delle componenti della sindrome metabolica (adiposità centrale, dislipidemia, ipertensione e iperglicemia) e peggioramento della sintomatologia nei pazienti con osteoartrite al ginocchio (13).
Una dieta corretta ed equilibrata rappresenta un ottimo strumento per la prevenzione ed il trattamento dell’obesità e della sindrome metabolica, specie se supportata da adeguati livelli di attività fisica (14,15).
La terapia enzimatica potrebbe favorire il miglioramento della sensibilità insulinica, oltre a ridurre lo stato infiammatorio in generale, agendo proprio sulle citochine pro-infiammatorie legate all’obesità e riducendo lo stress ossidativo (3,4).
Davide Allegri approfondisce il tema con la Dott.ssa Rosalba Galletti, specialista in diabetologia e malattie metaboliche.
Le malattie articolari di origine infiammatoria rappresentano una vera e propria sfida per il clinico, quali sono le componenti che maggiormente influiscono sulla prognosi e quali sono le strategie preventive?
Tali malattie rappresentano una sfida perché sono molto diffuse ma, soprattutto, perché spesso sono associate a situazioni di comorbilità.
L’infiammazione di basso grado, coprotagonista di molte patologie, agisce in modo subdolo, a livello sistemico e spesso asintomatico.
In queste situazioni, come nella maggior parte delle patologie conclamate, lo stile di vita può giocare un ruolo importante.
Le malattie articolari di origine infiammatoria sono patologie multifattoriali ed è per questo che l’approccio clinico dovrà essere trasversale. Dapprima, procedendo con le adeguate indagini medico-diagnostiche per poi continuare con la sensibilizzazione e “formazione” del paziente nella gestione della propria situazione clinica.
Obesità, disturbi e disfunzioni gastrointestinali, sedentarietà, stress, fumo, alcol e stili di vita scorretti sono gli elementi che più influenzano la prognosi, ma anche i fattori di rischio più gravi nello sviluppo di patologie croniche come l’osteoartrite.
Spesso il medico si trova di fronte a un abuso di FANS da parte del paziente per far fronte alla sintomatologia. Quale altro importante beneficio può trarre il paziente dalla terapia enzimatica?
Prima di tutto stiamo parlando di un’integrazione nutrizionale - la terapia enzimatica -, e non di un farmaco. I pazienti assumono quindi delle sostanze con azione antinfiammatoria (ad es. bromelina, tripsina e quercetina/rutina), senza però creare gli effetti collaterali dei FANS che, come sappiamo, non riguardano solo il tratto gastro intestinale.
Inoltre, l’utilizzo degli enzimi non si limita unicamente al periodo curativo della patologia conclamata, ma un altro punto di forza dell’integrazione con enzimi proteolitici e flavonoidi lo troviamo nella prevenzione.
Abbiamo quindi a disposizione integratori con una valenza multipla, sia sul sistema dell’infiammazione sia sulla risposta immunitaria, che possono essere ampiamente utilizzati anche in campo preventivo per contrastare i fattori di rischio e l’insorgenza di uno stato infiammatorio cronico.
Bibliografia
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