Casi clinici
La disabilità intellettiva porta ad esprimere i bisogni primari (come la fame) in modo primitivo e averbale, utilizzando il corpo per manifestare anche i disagi psicologici. Con il termine di paralisi cerebrale infantile (PCI) s’intende un ampio gruppo di disturbi neurologici causati da una lesione permanente, non progressiva, del cervello in via di sviluppo, che si verifica prima, durante o dopo la nascita. I progressi della medicina moderna garantiscono percorsi di cura che favoriscono una possibilità di vita più lunga rispetto al passato e sempre più bambini diventano adolescenti prima e adulti poi. Ma una volta raggiunta la maggior età, come procede il loro processo evolutivo? Anche se la lesione cerebrale che causa la PCI non è reversibile, le sue conseguenze sono variabili e possono modificarsi durante la crescita; questo fa sì che nell’adulto con PC si vedano i quadri più differenti di gravità e quindi scenari diversi di interrelazione con l’ambiente e le persone che li circondano. Per esemplificare quanto può accadere, analizziamo di seguito il caso di un giovane ventenne affetto da disabilità intellettiva grave e linguaggio ridotto a pochi fonemi non comunicativi, ma in grado di muoversi e interagire con l’ambiente.
Accrescimento, qualità di vita e nutrizione enterale in un paziente di 15 anni con paralisi cerebrale infantile grazie all’utilizzo di una formula a base di real food. Presentazione del caso clinico Il paziente nasce a termine da parto eutocico, dopo gravidanza normodecorsa. Viene intubato al primo minuto di vita per asfissia perinatale (APGAR 0) e necessita di ventilazione meccanica per una settimana. Ne consegue un quadro clinico di tetraparesi spastico-distonica e di encefalopatia epilettica, che necessita di politerapia (valproato, baclofen, diazepam, idrossizina, fentanyl). Si riporta inoltre una sintomatologia da reflusso gastro-esofageo trattata con inibitore di pompa protonica. In anamnesi sono presenti plurime polmoniti ab ingestis (l’ultima all’età di 8 anni), per cui il paziente viene indagato mediante rx del tubo digerente ed esofagogastroduodenoscopia, da cui non emergono elementi patologici. Dal punto di vista nutrizionale si segnala: importante difficoltà nell’assunzione di alimenti per os, dato il quadro neurologico compromesso presenta da sempre uno scarso accrescimento staturo-ponderale introito calorico, calcolato mediante l’anamnesi alimentare, è pari a circa 1000 kcal/die apporto proteico di 40 gr/die (pari a 1.7 gr/kg/die) intrapresa nutrizione enterale tramite sondino nasogastrico (SNG) dall’età di 14 anni.
Nel seguente caso clinico la Dott.ssa Cavallaro, psicoterapeuta, descrive le problematiche nutrizionali e psicologiche da valutare e trattare in presenza di malnutrizione. La presenza di malnutrizione per difetto in un paziente adulto con paralisi cerebrale porta a gravi conseguenze fisiche e cognitive a causa sia del ridotto apporto di nutrienti essenziali sia dell’alterata trasmissione nervosa indotte da entrambe le problematiche. In questo tipo di pazienti è quindi fondamentale una precoce valutazione dello stato nutrizionale e dei fabbisogni di calorie e nutrienti, per evitare i rischi della malnutrizione, senza trascurare il quadro psicologico del paziente e dei familiari se ne prendono cura in modo da garantire i più adeguati interventi nutrizionali e psico-terapeutici per la migliore qualità di vita possibile. Di tutti questi aspetti tratta il caso clinico proposto dalla Dott.ssa Cavallaro, medico psicoterapeuta.
L’uso di una formula a base di sieroproteine di latte si è dimostrato efficace in una bambina con PC e persistenti problemi gastro-intestinali. Il seguente caso clinico, tratto da un caso reale descritto dalla nutrizionista inglese Elaine Measly, riguarda un bambino di 5 anni e mezzo con gravi handicap neurologici e patologie gastro-intestinali. In molti bambini con paralisi cerebrale (PC) si deve ricorrere alla nutrizione enterale (NE) per garantire loro gli adeguati apporti nutrizionali necessari per la crescita e lo sviluppo. Questi pazienti corrono, infatti, un alto rischio di aspirazione, se nutriti per via orale, a causa della frequente manifestazione di disfagia e/o reflusso gastro-esofageo. 1 In questo caso - complicato dalla copresenza di malattia di Hirschsprung, caratterizzata da assenza totale di cellule gangliari nella zone dell’intestino crasso colpite che porta a perdita della peristalsi intestinale2 e da altre problematiche cliniche e familiari, sono stati necessari 5 anni di ricoveri e cambi di alimentazione prima di trovare la supplementazione nutrizionale e la formula enterale in grado di garantire al bambino gli apporti energetico-proteici necessari per la giusta crescita e una buona tollerabilità della NE. Scopriamo insieme i dettagli del caso.
La terapia enzimatica è una valida integrazione contro i dolori articolari soprattutto quando la paziente è intollerante ai FANS. Il 75% circa delle pazienti con carcinoma mammario è in post-menopausa e il 50% di tutte le pazienti con carcinoma mammario è affetto da malattia positiva per i recettori degli estrogeni ER+. Gli inibitori dell’aromatasi (IA) di terza generazione (letrozolo, anastrozolo ed exemestane) rappresentano, per queste pazienti, la terapia ormonale adiuvante d’elezione. Nel 60% circa delle pazienti gli effetti collaterali degli IA sono soprattutto a carico del sistema osteo-scheletrico con artromialgie, osteoporosi e rischio di fratture. La comparsa di artromialgie è stata riportata come la causa più frequente di sospensione del trattamento [1]. Il trattamento del dolore è basato sull’impiego di oppioidi, paracetamolo e FANS eventualmente associati alla fisioterapia e all’esercizio fisico [2].
Gli effetti sul miglioramento degli eventi avversi della chemioterapia nel cancro al seno e del colon-retto. La terapia enzimatica rientra tra le possibili terapie oncologiche integrative (MI). Gli effetti positivi della terapia a base di enzimi, proteolitici e pancreatici, sono stati evidenziati nell’attenuare le reazioni avverse ai trattamenti convenzionali (intervento chirurgico, chemioterapia e radioterapia). Sebbene gli studi condotti finora in campo oncologico presentino alcuni limiti (qualitativi e quantitativi), enzimi come bromelina, tripsina e chimotripsina potrebbero trovare una maggiore applicazione alla luce di future evidenze scientifiche nel campo dell’oncologia integrativa. Nel seguente articolo vengono analizzati due studi di coorte storici protocollati rispettando le raccomandazioni della “Good Epidemiological Pratice” (GEP), la linea guida sviluppata dalla società tedesca di epidemiologia. Gli studi presentati nell’articolo correlano la terapia enzimatica con il miglioramento degli eventi avversi legati alla chemioterapia nei pazienti con cancro al seno e del colon-retto.
Confronto tra terapia enzimatica e FANS nel controllo dello stato infiammatorio nei pazienti con questa problematica articolare. La terapia enzimatica è supportata da interessanti evidenze scientifiche che riportano i benefici della combinazione di tripsina, bromelina e rutina negli stati infiammatori acuti e cronici. Nel seguente articolo viene analizzato lo studio clinico randomizzato in doppio cieco con gruppo placebo, pubblicato su Arthritis nel 2015, dove è stata confrontata l’efficacia della terapia enzimatica rispetto al farmaco antinfiammatorio non steroideo (FANS) diclofenac sodico e placebo. La terapia enzimatica si è dimostrata essere tanto efficace quanto il farmaco anti-infiammatorio non steroideo diclofenac sodico nella gestione dell’osteoartrosi al ginocchio. I vantaggi dell’utilizzo della terapia enzimatica si estendono, inoltre, alla possibilità di diminuire il consumo di paracetamolo nei pazienti affetti da questa problematica articolare.
Ridurre o bloccare i processi infiammatori correlati alle patologie reumatiche osteo-articolari è fondamentale per gestire adeguatamente queste problematiche degenerative croniche diminuendo il ricorso ai FANS. L’osteoartrosi e le patologie articolari di origine reumatica sono strettamente correlate a una situazione infiammatoria che diventa cronica e spesso si traduce in un circolo vizioso autoalimentato. La presenza, inoltre, di obesità rappresenta un fattore di rischio per l’osteoartrosi, non solo per l’aumento del carico sulle articolazioni, ma proprio perché gioca un ruolo importante nel peggioramento dello stato infiammatorio. L’attività fisica gioca un ruolo chiave nell’interruzione del “loop” dell’infiammazione cronica, anche nelle malattie multifattoriali come l’osteoartrosi, grazie alla liberazione di veri e propri mediatori (miochine) da parte dei muscoli quando vengono attivati. Per curare questo tipo di patologie articolari croniche, il clinico può ricorrere ai farmaci, come i FANS, o agire sugli stili di vita (come la dieta e l’attività fisica) ma le gli studi scientifici stanno ponendo l’attenzione sulla attività non solo terapeutica, ma anche preventiva della terapia enzimatica. Ce ne parlano specialisti della materia e clinici.
L’integrazione orale di prodotti enzimatici ad attività antinfiammatoria si sta rivelando utile nella prevenzione e cura dei problemi muscolari funzionali da sovraffaticamento, comuni nello sportivo. I DOMS (Delayed Onset Muscle Soreness) sono dei disturbi muscolari funzionali da sovraffaticamento, secondo la classificazione proposta dal Munich Consensus Statement [1]. Si tratta di problematiche muscolari piuttosto comuni nella pratica sportiva, anche se non è possibile avere dati epidemiologici precisi. Il più delle volte sono disturbi non particolarmente gravi che permangono, dall’insorgenza alla remissione completa dei sintomi, per un periodo compreso tra le 72 e le 96 ore. I sintomi tipici includono indolenzimento, dolore, rigidità e gonfiore a livello muscolare, con biomeccanica alterata nelle articolazioni adiacenti [2, 3]. Tali sintomi variano da molto leggeri a intensi, con inabilità all’esecuzione di determinati movimenti. In questo articolo offriremo alcuni spunti di riflessione sui possibili benefici della terapia enzimatica nella prevenzione e trattamento dei DOMS.