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7° Episodio - La disfagia nel paziente anziano con disturbi neurologici

Disfagia

7° Episodio - La disfagia nel paziente anziano con disturbi neurologici
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Data de publicação

Questo episodio inquadra le caratteristiche della disfagia nei pazienti fragili e particolarmente critici, come quelli anziani con patologie concomitanti.

 

"Questa è NUTRITIONAL TALKS, la serie podcast che approfondisce temi sulla nutrizione clinica, per via orale ed enterale, nei pazienti con danni neurologici dalla nascita, quindi con paralisi cerebrale infantile, e negli adulti con grave disfagia o altre problematiche che impediscono la normale alimentazione. Questi podcast hanno finalità educative e sono dedicati agli operatori sanitari.
NUTRITIONAL TALKS è legata al progetto di formazione online nutritionalacademy.it, realizzato con il patrocinio non condizionato di Nestlé Health Science.
Sono Alvaro Gradella e nel corso di ogni puntata vi accompagnerò nell’approfondimento di un tema inerente alla nutrizione clinica con la collaborazione professionale e autorevole di opinion leader esperti in materia, che risponderanno alle mie domande con un solo scopo: “Favorire una maggiore comprensione del ruolo della nutrizione nel trattamento di specifiche condizioni cliniche e nella gestione delle carenze nutrizionali dei pazienti”.

Introduzione episodio 7
Questo episodio vuole inquadrare le caratteristiche e le criticità della disfagia nei pazienti, fragili e particolarmente critici, come quelli anziani e colpiti da disturbi neurologici.
Ce ne parlerà il Dott. Massimo Spadola Bisetti, Specialista in Audiologia, Foniatria ed Otorinolaringoiatria e Dirigente Medico di primo Livello presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria “Città della Salute e della Scienza di Torino”, che ringraziamo.

Dott. Spadola
Buongiorno a tutti e grazie per l’invito e soprattutto grazie per aver sollevato la questione della disfagia dell’anziano, tenendo presente che la popolazione tende sempre più a invecchiare e questo problema rischia di restare misconosciuto.

Domanda 1
Mi piacerebbe iniziare dando un ordine di grandezza al problema. Dott. Spadola Bisetti ci potrebbe dire qual è la prevalenza e l’incidenza della disfagia nella popolazione anziana oggi?

Dott. Spadola - Risposta 1
Bisogna premettere che la disfagia non è una malattia di per sé, ma è il sintomo o il segno di altre malattie - di varia gravità tra l’altro - e quindi una stima epidemiologica è quanto mai ardua, perché dipende da come e da quando si valuta la disfagia.
Nonostante questa premessa, possiamo dire che secondo le più recenti linee guida europee, emesse ad esempio dalla Società Europea per i Disturbi della Deglutizione - ESSD, e dall’European Union Geriatric Medicine Society, che sono del 2016, la prevalenza della disfagia negli anziani oscilla tra il 30 e il 40%, se parliamo di persone autosufficienti, mentre può raggiungere il 44% nelle persone anziane in cura geriatrica, fino ad arrivare al 60% nei pazienti istituzionalizzati.
La prevalenza più elevata si osserva invece nei pazienti anziani che hanno un danno neurologico, e allora vediamo che nei pazienti che hanno subito uno stroke può arrivare fino al 64%, mentre nei pazienti con demenza arriva a superare l’80%, soprattutto nelle demenze avanzate.

Domanda 2
Sappiamo che dopo i 65 anni si va incontro a un cambiamento spontaneo, e ancora fisiologico, nella deglutizione. Quali sono, dottore, le modificazioni che interessano la fisiologia dei meccanismi della deglutizione dopo quell’età? 

Dott. Spadola - Risposta 2
Nel corso della nostra vita noi cambiamo più volte le modalità di deglutizione, se pensiamo al neonato, ad esempio, che può assumere i liquidi praticamente in posizione sdraiata, cosa che a noi adulti risulta particolarmente difficile.
Le modalità fisiologiche di deglutizione dell’anziano vengono dette presbifagia primaria e rispecchiano le naturali alterazioni funzionali dell’età avanzata, infatti abbiamo una edentulia che comporta l’alterazione del massiccio facciale e della bocca, con un ingrandimento della lingua che tende a occupare lo spazio lasciato vuoto dai denti. Ci sono alterazioni della salivazione, talvolta connesse certamente anche all’uso di alcuni farmaci, vi è una ridotta vigilanza, e tutto quello che avviene nel nostro organismo, inteso come perdita di strutture muscolari, un’ipotrofia e un’ipostenia muscolare, che interessa certo i muscoli delle gambe e delle braccia in modo più evidente, ma interessa anche i muscoli masticatori, la lingua e i muscoli della faringe.
Una ridotta sensibilità generale e una ridotta coordinazione prassica, abbinate certe volte a un rallentamento generale; se chiediamo a un anziano di correre certamente non lo farà come un diciottenne, così anche tutti gli atti connessi alla deglutizione sono più rallentati.
Vi è inoltre anche a livello dell’esofago un ipertono relativo, e una ridotta funzionalità dell’esofago stesso, intesa come capacità di peristalsi.
Un elemento anatomico importante, che certe volte non teniamo presente è che, con l’età avanzata, la laringe tende ad abbassarsi e questo abbassamento comporta anche un maggior rischio di inalazioni durante la deglutizione. Quindi la presbifagia viene causata da queste molteplici alterazioni dell’anatomia e della fisiologia del distretto capo-collo e, nella persona anziana, già solo queste modificazioni la predispongono a un maggior rischio di malnutrizione, abbinata ad esempio a problemi di tipo respiratorio.

Domanda 3
Dottor Spadola Bisetti, quando si può iniziare a parlare di presbifagia secondaria, o vera e propria disfagia nell’anziano, e quali sono le sue principali caratteristiche?

Dott. Spadola - Risposta 3
La presbifagia secondaria è un aggravamento della presbifagia primaria, dovuta al sovrapporsi di altre patologie.
Si può iniziare a sospettare di questa presbifagia secondaria quando l’alterazione della funzionalità deglutitoria diventa un problema clinicamente rilevabile, e come evento che accompagna l’insorgenza di diverse altre malattie, in particolare quelle di tipo cerebrovascolare, come ad esempio l’ictus, o anche malattie di tipo ostruttivo, connesse ad esempio a neoplasie, a flogosi e a compressioni esterne. La fanno da padrone in questi casi le malattie neurologiche, tra cui ad esempio il morbo di Parkinson, le malattie neurodegenerative, ma anche le demenze; poi le neuropatie periferiche quali le poliomiositi, il lupus e le cosiddette connettivopatie.
Certe volte sono eventi scatenanti la chemioterapia, che magari dà i suoi effetti a distanza anche di molti anni da quando è stata effettuata, i traumi cervicali, i traumi cranici, i tumori, oppure può essere secondaria all’uso di farmaci o alla radioterapia.
I sintomi della presbifagia secondaria che si possono osservare sono soprattutto la comparsa di tosse durante la deglutizione, il rigurgito nasale, la voce gorgogliante, il ristagno del cibo, ma certo molto dipende dalla patologia di base.

A seguito di una gestione non ottimale della disfagia dell’anziano si può poi osservare il tanto temuto problema della polmonite ab ingestis; certamente importante e grave, ma in realtà sono molto più frequenti e spesso misconosciute altre cose, come la malnutrizione, con perdita di massa muscolare, sarcopenia, perdita di peso e, soprattutto, la disidratazione, che si manifestano molto più precocemente.

Domanda 4
Secondo la sua esperienza clinica, dottore, quale tipo di disfagia si riscontra maggiormente in questi pazienti, tra disfagia orofaringea ed esofagea? E quali sono le cause?

Dott. Spadola – Risposta 4
Come detto, il tipo di disfagia che si manifesta è strettamente legato alla patologia sottostante. Data la maggior frequenza delle cause neurologiche, diciamo che la disfagia orofaringea è quella che più si riscontra nella popolazione anziana ed è anche la più evidente. La sua gestione è soprattutto di pertinenza foniatrica e logopedica.
Invece la disfagia esofagea, che spesso si presenta nell’anziano, ma poco riconosciuta e confusa con disturbi di tipo digestivo, invece è di pertinenza gastroenterologica, ed è spesso collegata a malattie quali la miastenia, a malattie neurodegenerative o muscolari, ma anche le connettivopatie sono molto importanti, ad esempio la sindrome di Sjögren o il lupus; oppure alla presenza di vere e proprie patologie esofagee quali la calasia o la presenza di diverticoli esofagei.

Domanda 5

Qual è in particolare, dottore, l’impatto delle malattie neurologiche sulla deglutizione dell’anziano?

Dott. Spadola - Risposta 5
Le malattie neurologiche nella loro varietà, soprattutto per quanto riguarda il fatto che l’allungamento della vita comporta una maggior manifestazione di queste patologie, ci danno il maggior impatto; però volevo sottolineare l’importanza di una particolarità delle forme neurologiche, cioè le demenze. Infatti la disfagia nelle persone affette da demenza è correlata alla perdita delle funzioni cognitive, certe volte alla perdita della capacità di nutrizione autonoma, e a una generale alterazione dello schema motorio, cosicché si può presentare in gradi diversi a seconda del livello di demenza.

Facendo la valutazione mediante la Global Deterioration Scale di Reisberg si può dire che normalmente cominciamo a riscontrare problemi di deglutizione intorno al 5° stadio, quello definito di “declino moderatamente severo delle funzioni cognitive”. Certamente però c’è una grande variabilità individuale che certe volte vede proprio nei disturbi dell’alimentazione uno dei primi segnali d’allarme.

Nelle fasi iniziali del morbo di Alzheimer, ad esempio, possiamo avere delle manifestazioni opposte di iperfagia, in cui il paziente è eccessivamente vorace e si comporta durante il pasto con una manifestazione di eccessiva assunzione di bolo, fino a riempirsi la bocca senza riuscire a masticare a sufficienza. Poi si arriva nelle fasi più avanzate della demenza a vere e proprie forme di disfagia, dove certe volte l’alimentazione per bocca diventa impossibile.
Con il peggioramento delle funzioni cognitive si possono avere le conseguenze che ho già detto: la malnutrizione, la disidratazione e quella che viene definita inappetenza, che non è una vera inappetenza, ma è dovuta al fatto che il soggetto manifesta fastidio, o addirittura dolore, durante l’alimentazione.

Domanda 6 

Ci potrebbe spiegare, Dottor Spadola Bisetti, chi deve diagnosticare la disfagia nell’anziano affetto da demenza e come avviene la gestione di queste problematiche?

Dott. Spadola - Risposta 6
La diagnosi di disfagia nell’anziano affetto da demenza, in generale diciamo in tutte le malattie neurologiche, necessita di diverse competenze, in modo da indagare in maniera multidisciplinare tutte le dimensioni del problema. Il team chiaramente comprende innanzitutto il neurologo, che è quello che pone la diagnosi della patologia di base; a questo punto il deglutologo e il nutrizionista entrano in gioco ciascuno nei propri ruoli. Però volevo sottolineare quanto in questi casi sia importante ad esempio il ruolo dell’infermiere, perché spesso è il primo a intercettare i disturbi della deglutizione, occupandosi dell’assistenza diretta del paziente; o anche il ruolo, riconosciuto come fondamentale, del caregiver o del familiare che si occupa di questo paziente.
Quindi, fatta la diagnosi neurologica, il deglutologo eseguirà facendo un’accurata anamnesi – tante volte già solo quella aiuta nel definire la disfagia – una valutazione obiettiva e strumentale in modo da definire il grado della disfagia e il rischio che c’è nell’alimentazione per bocca, e quindi definire le modalità di somministrazione del cibo o le eventuali esclusioni di consistenze, se ne ravvisa la necessità, e se il paziente è sufficientemente collaborante potrà poi attivare anche la rieducazione logopedica.
Le metodiche dirette per la valutazione della disfagia, le metodiche strumentali, quali la valutazione fibroendoscopica e lo studio radiologico videofluorografico, tante volte sono di difficile esecuzione, specialmente nel paziente demente non collaborante, però tante volte i soli segni indiretti o la valutazione obiettiva, sono già molto eloquenti. Infine, sulla scorta della valutazione fornita dal deglutologo, che in pratica indica la possibilità o meno di alimentare questa persona per bocca, e dice in pratica come deve mangiare questo paziente, il nutrizionista farà la sua valutazione dello stato nutrizionale, della necessità calorica quotidiana, e definirà cosa invece questa persona deve mangiare, la necessità di eventuali integrazioni, oppure la necessità di posizionare presidi per l’alimentazione artificiale.

Domanda 7 

Secondo la sua esperienza, Dottor Spadola Bisetti, potrebbe dirci qual è il ruolo del caregiver in questi pazienti così critici e spesso soli?

Dott. Spadola - Risposta 7

L’identificazione precoce dei segni di disfagia tante volte avviene proprio grazie alle segnalazioni del caregiver, che quindi deve essere educato a riconoscerli.

Molte associazioni di pazienti hanno da tempo capito questa importanza, e ad esempio ci chiamano a tenere corsi di formazione per familiari o badanti.
Vi sono dei segni, che io chiamo campanelli d’allarme, per rilevare i quali non è neanche necessario essere medici e li rileva il paziente stesso oppure appunto chi se ne occupa. Ad esempio un fastidio, un dolore associato alla deglutizione… La deglutizione dovrebbe essere un fatto piacevole, e se si manifesta dolore vuol dire che c’è qualcosa che non quadra. Oppure un allungamento eccessivo del tempo dedicato al pasto; la presenza di tosse costantemente durante i pasti; certe volte il paziente riferisce un senso di corpo estraneo in gola; alterazioni della voce durante o subito dopo l’atto deglutitorio; infine in questi pazienti troviamo talvolta un cambiamento delle abitudini alimentari: quelli che erano buone forchette si riducono a mangiare pochi cibi e sempre gli stessi. Quindi sottolineare sempre: attenzione alla perdita di peso, al calo ponderale, se non ha una causa ben evidente. Certe volte anche la presenza di una febbricola senza altre cause evidenti può essere un campanello d’allarme della disfagia.

Interventi riabilitativi sulla deglutizione possono essere fatti dal logopedista, ma certe volte non sono praticabili nel paziente anziano non collaborante, specialmente se con demenza, però possono essere ugualmente utili per un counseling verso le figure professionali che si occupano di questo paziente, quindi l’infermiere, il badante o il caregiver. Questo per ottimizzare il momento del pasto e monitorare la situazione nel tempo.

Domanda 8 

Dottor Spadola Bisetti, potrebbe infine fornirci qualche consiglio pratico per gestire la disfagia nel soggetto anziano?

Dott. Spadola - Risposta 8

È molto importante individuare quali sono le consistenze più adeguate a questo paziente e, se è il caso, utilizzare addensanti, acqua gelificata, o artifici anche di tipo fisico per modificare la consistenza del cibo quando è necessario.
Per facilitare la deglutizione bisogna anche invogliare il paziente a nutrirsi, quindi ad esempio mettere regolarità negli orari dei pasti, instaurare una specie di routine, un rito quotidiano per l’alimentazione, valutando poi di caso in caso, perché invece, specialmente nel demente, tante volte è necessario lasciare la massima elasticità possibile, in modo che il paziente durante la giornata possa fare piccoli pasti, magari utilizzando anche le mani.

I locali per il pasto devono essere luminosi, ben arieggiati, privi di aria stantia che sa di cibo, e deve essere rimossa ogni fonte di distrazione, in primis la televisione mentre si mangia.

Anche la posizione al tavolo deve essere comoda, con sedie di altezza adeguata; busto e capo non devono essere ruotati ma in posizione neutra, e i piedi ben appoggiati a terra o su apposite pedane. 

Per incoraggiare l’autonomia del paziente, piuttosto che imboccarlo, è bene utilizzare posate e anche bicchieri che abbiano una presa facile; alcuni sono “autoreggenti”, nel senso che si possono legare alla mano. Il fatto di portare da soli il cibo alla bocca migliora molto la coordinazione, piuttosto che essere imboccati da un altro. Anche l’uso di piatti e bicchieri che abbiano un aspetto gradevole, di colore contrastante, possono aiutare a mangiare. Sappiamo che adesso esiste la moda dell’impiattamento elegante, e anche in questi pazienti può essere un elemento che favorisce l’alimentazione e la successiva deglutizione.

Se il tempo del pasto poi tende ad allungarsi, perché non fare uso di quei piatti termici che si usano anche per i bambini per mantenere la temperatura del cibo adeguata? Come ho detto, spesso, soprattutto nel grande anziano, è necessario trasgredire alla dieta, magari del diabetico, per permettere a queste persone di nutrirsi a sufficienza ed evitare il rischio di malnutrizione, e anche di disidratazione.

Quindi è importante puntare sull’aspetto piacevole del cibo, cercando di proporre piatti appetitosi e presentati in maniera piacevole.

Poi, dal punto di vista clinico, in molte patologie certe volte l’aggravamento della disfagia può rendere necessario passare a nutrizione artificiale, ad esempio attraverso l’uso della PEG.

Questo potrebbe non escludere l’assunzione di piccole quantità di cibo per bocca solo a scopo di piacere, anche perché in realtà non ci sono evidenze scientifiche che ci dicono ad esempio che nel demente il posizionamento di una PEG migliori la qualità della vita e allunghi la sua stessa durata.

Conclusione 

Concludiamo questo episodio di Nutritional Talks dedicato alla disfagia nel paziente anziano con disturbi neurologici. 

Abbiamo capito che la disfagia è molto diffusa nella popolazione anziana e si può presentare in modo molto variabile nei diversi individui con demenza. La diagnosi in questi pazienti può essere difficoltosa. Per questo è importante individuare i primi segni di disfagia, collaborando a stretto contatto con il caregiver. La diagnosi precoce permette, infatti, al team multidisciplinare di programmare una gestione coordinata e ottimale. 

A livello nutrizionale bisogna fare attenzione alla consistenza dei cibi ricorrendo agli opportuni addensanti e all’acquagel, lasciare libero l’anziano di mangiare quello che preferisce anche utilizzando le mani, assecondandolo il più possibile 

La gestione corretta dei pasti e il monitoraggio quotidiano della funzione deglutitoria possono fare la differenza per la salute nutrizionale e la qualità di vita di questi pazienti. 

Ringrazio, quindi, il Dott. Spadola Bisetti per aver fornito questa panoramica sulla problematica. 

Dott. Spadola

Grazie a tutti voi e anche agli ascoltatori e a Nutritional Academy, che mi ha consentito di intervenire su un argomento che, se si è capito, mi sta molto a cuore e che penso non sia stato ancora abbastanza diffuso sul territorio, specialmente nelle RSA. Speriamo che questo podcast aiuti a migliorare la conoscenza del tema.

Chiusura

Ringraziamo ancora il Dott. Spadola Bisetti per il suo contributo e invitiamo tutti i nostri ascoltatori a continuare a seguirci su nutritionalacademy.it o sulle principali piattaforme di podcast.  


(Interludio musicale)

Ascolta

  • Participantes

    icona volto Dott. Massimo Spadola Bisetti Specialista in Audiologia, Foniatria ed Otorinolaringoiatria di Torino

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